Il mito del Multitasking

Scritto da Angela - News

Nel 2009 uno studio dell’Università di Stanford ha dimostrato che il nostro cervello non è programmato per processare più attività nello stesso momento e quindi è più produttivo se si affronta una cosa alla volta.
Con il multitasking peggioriamo il livello di efficienza, perché diventiamo più lenti nel passare da un’azione all’altra e incapaci di distinguere, nel bombardamento di stimoli che riceviamo, le informazioni importanti da quelle irrilevanti. 

Secondo una ricerca della University of London dedicarsi a più attività nello stesso momento riduce il quoziente intellettivo del nostro cervello, come se stessimo fumando marijuana. Tra gli adulti esaminati i ricercatori hanno osservato che il QI si abbassava al livello di quello di un bambino di 8 anni.

Un’altra ricerca dell’University of Sussex ha dimostrato come i danni al cervello per chi pratica multitasking siano permanenti. Gli studiosi, infatti, hanno condotto esami sul cervello delle persone che passano il tempo usando diversi strumenti digitali, ad esempio inviando messaggi con il cellulare mentre guardano la tv, e i risultati sono stati sorprendenti.

Le immagini ottenute con la risonanza magnetica (MRI scan), hanno provato che chi pratica il multitasking ha una densità inferiore agli altri nella corteccia anteriore cingolata, ossia la regione responsabile dell’empatia e del controllo cognitivo ed emotivo.  Daniel J. Levitin – neuroscienziato e psicologo statunitense – nel suo libro The organized Mind: thinking straight in the in the Age of Information Overload (Dutton Books, 2014) sostiene che quando lavoriamo in modalità multitasking, il rapido passaggio da un’azione a un’altra (context switch) comporta un notevole impegno cognitivo e provoca un incremento della produzione di cortisolo – che regola lo stress e può portare ad atteggiamenti aggressivi – e di adrenalina, l’ormone che ci mantiene in allerta. 

L’ illusione di poter fare più cose contemporaneamente aumenta inoltre la produzione di dopamina, che ci fa sentire momentaneamente soddisfatti e ci induce a produrre un’ulteriore “dose” grazie ad una nuova serie di compiti svolti in rapida successione e alternanza.

Già nel 2013 grazie a uno studio coordinato dalla Michigan State University era emersa una correlazione tra il multitasking umano e la tendenza all’ansia e alla depressione.  

Come sostiene Levitin, il multitasking comporta un più rapido esaurimento di glucosio ossigenato, la sostanza che ci consente di rimanere concentrati. 

Lavorare in questa modalità quindi causa spossatezza e stanchezza anche solo dopo poche ore.